Amedeo Griffoni - Speleologo per una vita
Tra pochi giorni si celebrerà la scoperta ad opera del Gruppo Speleologico Marchigiano di Ancona di una delle più belle grotte del mondo, la GROTTA GRANDE DEL VENTO, che si sviluppa nel lato destro della gola di Frasassi, il Monte Valmontagnana. Avevo 15 anni quando mi inerpicavo su quel ripido pendio per entrare in un incontaminato tempio di bellezza che oggi, tante persone possono visitare . Era il 25 settembre del 1971. Pochi mesi dopo entravo a far parte del GSM e con grande emozione e un po' di paura, invece di andare a giocare a pallone con gli amici scendevo in quella profonda grotta, senza rendermi conto che da quel giorno la mia vita cambiò.
Oggi che ho superato i 60 ancora continuo ad avere la stessa trepidazione ma non potrei vivere senza quell’emozione fatta di buio. Per questo devo molto a quei “ragazzi” che 50 anni fa sfidarono quel buio e si calarono nell’ ”Abisso Ancona”, per cui ritengo che il continuo di questo racconto debba spettare proprio ad uno di loro, Fabio Sturba, oggi settantenne ma ancora speleologo molto attivo nonché presidente del Gruppo Speleologico CAI di Jesi. A lui la parola:
“Sabato 25 settembre 1971 partivano da Ancona 2 squadre di giovani speleologi, (età compresa tra i 16 e i 25 anni) appartenenti al Gruppo Speleologico Marchigiano CAI – Ancona, dirette verso il Monte Valmontagnana (Gola di Frasassi), la prima per raggiungere la Grotta della Speranza, situata sul versate sud-est del monte, per proseguire i lavori di scavo, l’altra, guidata da Giancarlo (Cappanera), diretta verso il versante nord-est, per controllare alcuni fori segnalatici da Rolando (Silvestri) che li aveva individuati qualche mese prima durante una escursione fatta insieme al suo amico Umberto. Nessuno credeva molto in quei buchi trovati da Rolando, ma siccome lo speleologo è un personaggio caparbio e curioso si decise di controllare.
Amedeo Griffoni davanti all'ingresso della grotta. Marzo 1972.
Ritrovare quel luogo impervio non fu cosa facile e solo dopo una lunga ricerca riuscirono nell’intento. Dei vari fori controllati l’ultimo, il più piccolo, apparentemente insignificante ed inaccessibile, sembrava continuare; con le mani e qualche piccolo attrezzo riuscirono ad allargarlo quel tanto per riuscire ad entrarci. La delusione di Giancarlo e degli altri dovette essere notevole quando si ritrovarono in una piccola saletta apparentemente chiusa; quel giorno però il clima e la sorte erano dalla loro parte. Da alcuni forellini presenti sulla parete di fondo usciva, ritmicamente, un leggero soffio d’aria; sì aria, benedetta aria, perché significava che oltre la parete doveva esserci qualcosa!
Senza attrezzi adeguati lo scavo era impossibile, decisero quindi di tornare a casa ma la mattina successiva erano di nuovo lì. Recuperati gli attrezzi da scavo che avevamo alla Grotta della Speranza, domenica 26 settembre riuscirono a praticare un piccolo tunnel lungo un paio di metri e quando fu abbattuto l’ultimo diaframma, furono investi da un violento getto d’aria che spense le fiamme delle lampade ad acetilene utilizzate in quel periodo (da qui il nome Grotta Grande del Vento).
Quel giorno, essendo l’unico speleologo di una certa esperienza, Giancarlo decise di non proseguire oltre, ma il sabato successivo eravamo di nuovo lì, quasi tutto il Gruppo al completo, con un’ansia indescrivibile di scoprire cosa c’era al di là di quel tunnel.
Oltre il tunnel la grotta continuava: una galleria lunga una settantina di metri immetteva in una vasta sala (poi chiamata Sala del Trono) che terminava con un lungo scivolo che si perdeva nel buio. Il lancio del sasso era l’unico modo per avere un’idea di che cosa ci fosse oltre quel muro nero; i secondi passavano ma del sasso nessun rumore, ci vollero 5 secondi, forse di più prima che un lontanissimo rimbombo ci fece sobbalzare. Un rapido calcolo…. Il pozzo (lo chiameremo Abisso Ancona) doveva essere profondo almeno 120 metri, forse più, una gioia irrefrenabile pervase tutti, salti, abbracci, grida, non stavamo più nella pelle! Rapido consulto, non avevamo con noi il materiale sufficiente per scenderlo, forse neppure in magazzino, ma avremmo tentato ugualmente.
Prime foto del salone dell'Abisso Ancona L'organo Fabio Sturba risale l'Abisso Ancona
In tre, in piena notte, decidemmo di tornare in Ancona per prendere tutto il materiale disponibile e la mattina seguente, dopo poche ore di sonno tormentato, eravamo di nuovo lassù. Giancarlo, Giuseppe (Gambelli), Maurizio (Bolognini) ed io eravamo quelli più esperti, gli altri erano tutti ragazzi che andavano in grotta da pochi mesi, ovviamente sarebbero scesi due di noi e gli altri sarebbero rimasti sopra. Maurizio ed io fummo scelti per la prima discesa, ce la giocammo a sorte, la fortuna scelse Maurizio, ma la sua calata si interruppe dopo una settantina di metri per la rottura di una scaletta: tutto rimandato!
La settimana successiva, dopo aver acquistato ulteriori scalette e corde, eravamo nuovamente nella Sala del Trono; Maurizio, utilizzando le scalette, raggiunse il fondo dell’Abisso Ancona (sarà profondo solo 100 metri), io, lo seguii poco dopo. La discesa, in quell’immensa oscurità, fu indescrivibile, appeso a quella fune mi sembrò di essere un minuscolo ragno che scendeva con il suo esile filo nel mezzo di un stanza buia, impressionante!
Raggiunto il fondo ci abbracciammo entusiasti! Alla luce delle fiammelle delle nostre lampade ad acetilene non riuscivamo a rischiarare il buio, intravvedevamo solo una parte del pozzo per cui decidemmo di scendere costeggiandola. Camminavamo con molta attenzione, un infortunio avrebbe potuto avere conseguenze devastanti, quando all’improvviso notai che il pavimento era cambiato, alzai la testa…eravamo in mezzo a stalagmiti gigantesche (i Giganti), non ce ne eravamo neppure accorti! Ci guardammo ripetutamente, le parole erano strozzate in gola ma i nostri sguardi esprimevano un tumulto di emozioni; fu in quel momento che mi resi conto che, probabilmente, eravamo di fronte ad una scoperta grandiosa e storica!”
Rubrica: Alla scoperta del territorio con gli esperti a cura di Amedeo Griffoni